BREXIT… or ALIVE

BREXIT… or ALIVE

Siamo alle solite.
E’ ormai un abitudine nell’ultimo decennio, dal caso-Lehman in poi: la recessione mondiale, la crisi del debito (aiuto, lo spread!!), l’attacco all’euro, l’invasione dell’Ucraina, le ripetute difficoltà della Grecia culminate con il referendum anti-austerity e quindi anti-UE, la costante minaccia del terrorismo islamico, l’incognita sull’aumento dei tassi USA, il rallentamento della crescita in Cina, il crollo del petrolio, il bail-in che rappresenta un vero spartiacque nello scenario non convenzionale nel quale prestare soldi comporta rischio ma rendimenti a zero (o negativi)….

Sicuramente sto dimenticando qualcosa che, come in questo caso, sembra o sembrava turbare la stabilità economico-finanziaria e, come naturale conseguenza, i sonni tranquilli dei risparmiatori.

La possibile uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea aggiunge un pezzo pregiato alla suddetta collezione.
Possibile, anche se appena meno probabile, perché i tristi fatti di cronaca sembrano aver suscitato, nei sudditi di Sua Maestà la Regina, una commozione che possa spostare l’ago della bilancia verso il “Remain”.

Ma cosa succederebbe “se”…..?  😉
Non mi dilungo sulla risposta, già ampiamente esaminata da letteratura amplissima su giornali e siti internet, oltre che nei tg e nei talk show di ‘approfondimento’……(!?!)
Evito, per esempio, di soffermarmi sui timori che si possa innescare, nel breve, una corsa al prossimo che esce.
Dico solo che le conseguenze pratiche ed immediate sarebbero praticamente nulle: l’UK non aderisce, come noto, ne’ alla moneta unica ne’ al fiscal compact che, insieme, rappresentano l’integrità forte dell’area europea che, a livello economico, oggi viene considerata intangibile e ne definisce i sostanziali confini di coordinamento finanziario.

A quei fini il Brexit è ininfluente: già oggi il Regno Unito ha autonomia in termini di politica fiscale e monetaria; idem per moltissimi aspetti nei quali i britannici hanno esercitato, negli anni, clausole di non adozione delle norme comuni europee.
Con un piede e tre quarti fuori dall’UE mancherebbe solo, al limite, un ultimo piccolo strappo.
Su cosa?
L’idea comunitaria era nata, nel secondo dopoguerra, prevalentemente per favorire la libera circolazione di beni e persone: impegnare le persone, di nazionalità diversa, a fare commercio e a mescolarsi fisicamente, in modo da rendere più improbabile che si bombardino reciprocamente….

Oggi, al limite, il pericolo può essere legato ad una guerra commerciale, ben più virulenta potenzialmente rispetto ad una militare, ed ai temi della gestione delle frontiere in merito alla grande attualità dei flussi migratori.

C’è comunque una casistica tranquillizzante, che farebbe propendere per scenari non traumatici, legata a paesi, pur non aderenti all’UE, con i quali esistono trattati che creano di fatto un’estensione della circolazione europea; su tutti, ovviamente, il caso della Svizzera.
E appunto, l’unica conseguenza concreta del ‘se succede…’ sarebbe l’avvio di negoziati almeno biennali (rinnovabili) per redigere appunto dei trattati, mentre i ‘fatti’ resterebbero al momento invariati.
La negoziazione delle condizioni di tali trattati dovrebbe tener presente, inoltre, che un’uscita secca vedrebbe la contrarietà della Scozia, schierata in larga maggioranza per il “Remain”, che a sua volta potrebbe decidere di restare in Europa, lasciando il Regno non più Unito, ma piuttosto Disunito…. 😀

Ma tutto questo è fantapolitica, fantaeconomia o fantanonsochealtro e sostanzialmente non ci riguarda.
Cosa ci riguarda invece?
La mission che intendo, pazientemente, perseguire: ricordare ai risparmiatori l’importanza della diversificazione, di una asset allocation che possa risultare compatibile con le proprie esigenze di vita (es. tempi nei quali potrà servire il denaro) e la propria soglia di tolleranza alla volatilità.
A ciò aggiungo un timing idealmente in controtendenza, ove possibile, con il tenore delle notizie, ed in particolare: se ci sono crolli legati a fatti negativi, significa che si apre una fase di maggiore opportunità durante la quale incrementare le proprie posizioni; al contrario, quando ‘berta fila’ e le performance sono soddisfacenti, evitare di investire solo perché le cose vanno bene ed al contrario ammorbidire gradualmente le posizioni, magari consolidando le plusvalenze conseguite, in attesa di poterle reinvestire al successivo, inevitabile, calo.

Talmente banale….che la maggior parte dei risparmiatori tende a fare esattamente il contrario, facilitando, di molto, il lavoro degli speculatori e complicando invece, altrettanto, quello dei loro poveri consulenti finanziari…!

Comprendo, però, quei clienti che, ancora, immaginano di poter ambire ad un investimento che, al di là delle apparenze, possa essere veramente tranquillo e, almeno moderatamente, redditizio.
Sono stati abituati così, da almeno una quarantina d’anni.

Oggi però le cose, com’è naturale nella vita, sono cambiate e quindi anche quei risparmiatori devono cambiare i propri comportamenti; e devono farlo velocemente.
Ciò che sta accadendo nel pezzo di mondo a cui sono più abituati (titoli di stato/banche) mostra una complessità sconosciuta ai non addetti ai lavori, ma con la quale i risparmiatori stanno già iniziando a confrontarsi.

A proposito….passato il rischio-Brexit, indipendentemente dall’esito del referendum, ci saranno altri motivi per generare oscillazioni di mercato….che, per chi sa come muoversi, sono un gran business!
😉

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