
Italia 2019: risparmio ed economia reale
Correva l’anno della prima apparizione sugli schermi televisivi di Beautiful (in America, mentre da noi sarebbe arrivato qualche tempo dopo…). Ma non solo: anche dei Simpson!
Un altro indizio?
Era l’anno in cui “L’ultimo imperatore” di Bertolucci vinceva 9 oscar.
Ad ottobre, il 19, c’era stato il più grande tracollo borsistico della storia, con Wall Street in calo del 22% in una sola seduta… troppo facile?
In Medio Oriente imperversava l’intifada, mentre Reagan e Gorbaciov trattavano il disarmo nucleare.
L’anno del sorpasso: no, non quello cinematografico di Dino Risi (il 1962), ma quello in cui l’Italia superava la Gran Bretagna e diventava la quinta potenza economica al mondo, il 1987.
Cosa ci ha portato, nel frattempo, sul precipizio dell’unico confronto economico-finanziario che oggi conta, quello impietoso dello spread rispetto alla Germania?
Dai picchi del 120% toccato a metà degli anni ’90, il rapporto debito/PIL era riuscito a scendere, intorno al 2005, sotto il 100% e a ridurre il divario rispetto alla media UE a soli trenta punti percentuali.
La crisi post-Lehman ci ha spinti verso l’attuale 130% (e passa…), ampliando il divario rispetto alla media europea nuovamente sopra i 40 punti.
Cosa ci comporta?
Il peso degli interessi su questo debito, pari al 3,7% del PIL, risulta doppio rispetto alla media dell’euro-zona (1,9%) e ci fa accumulare debito su debito, neutralizzando l’avanzo primario (il risultato del bilancio pubblico, al netto degli interessi pagati) generato dai sacrifici di noi cittadini.
Infatti, l’Italia è l’unico paese che ha conseguito una differenza positiva tra entrate (le tasse che paghiamo) e le uscite (i servizi che riceviamo) in ben 22 degli ultimi 23 anni: siamo degli eroi!!!
Essendo il rapporto debito/PIL influenzato sia dall’andamento del numeratore che da quello del denominatore, non sarà che l’origine dei nostri problemi affonda nella nostra incapacità di far crescere adeguatamente quest’ultimo?
Il disagio sociale generato dall’andamento della disoccupazione, in particolare giovanile (più di un ragazzo su tre non riesce a trovare lavoro), ne è un esempio.
Nonostante ciò, il quadro negativo non è uniforme: il made in Italy continua a tirare e l’export è ai massimi storici (470 mld), nonostante il peso dell’Italia sul commercio mondiale sia decresciuto nell’ultimo decennio ed è oggi poco meno del 3%.
In sostanza, noi italiani siamo ricchi o poveri?
La risposta è nei numeri: la ricchezza totale è pari a 10.700 mld di euro; al netto delle passività finanziarie private corrisponde a 4,2 volte il debito pubblico (è per questo che, ogni tanto, anzi spesso, si parla di mettere pesantemente le mani in tasca ai cittadini per abbatterlo) e soprattutto 5,9 volte il PIL.
In che modo questa montagna di ricchezze contribuisce ad arricchire ulteriormente il nostro Bel Paese?
Ben 6.300 di quei miliardi di valore corrispondono agli immobili: lo dice il nome stesso che tali ricchezze apportano ben poco contributo e, anzi, lo sottraggono per l’ingente carico fiscale che drena non poche delle nostre risorse.
Ma, soprattutto, ben 1.400 miliardi dei 4.400 in attività finanziarie sono in liquidità.
Se l’inflazione target UE è pari al 2% e il rendimento lordo di tale liquidità è stimabile allo 0,38% (che diventa lo 0,04% al netto di tasse e costi), ben si evidenzia che quella montagna partorisce il topolino della perdita di valore reale.
La dinamica è di proporzioni tali che la nostra mente fatica a percepirne l’impatto notevole nel tempo: se 40 anni fa le monete celebrative d’argento erano da 500 lire (ricordiamo quelle no le famose caravelle?), oggi sono da 5 euro… ben 20 volte in più!
Tralasciando la normativa sul Bail-in che aleggia sulla presunta insicurezza della banche, si può valutare l’impatto positivo sull’economia dell’introduzione dei PIR: la raccolta è stata di 15 miliardi nei primi due anni, ben più rispetto alle previsioni del governo.
Ancora poco (1% della liquidità disponibile) e, soprattutto, attualmente ai box per la lentezza nell’adozione delle recenti novità legislative, ferme in attesa delle disposizioni attuative; ma la prospettiva internazionale fa ben sperare: in Francia il mercato dei PIR ha raccolto negli anni 120 mld destinati agli investimenti nell’economia reale, in UK 588 mld dal 1999, in Canada 150 mld dal 2009 e in Giappone 78 mld dal 2014 ad oggi.
In attesa dei benefici che l’adozione da parte dei risparmiatori porterà, nel tempo, all’economia reale dobbiamo confrontarci con il banco-centrismo del nostro sistema economico: solo banche solide potranno espandere il loro volume di credito verso le imprese e contribuire ad una rinascita economica.
Proprio per questo il comportamento dei risparmiatori dovrà essere virtuoso e non scegliere più la propria banca solo con i vecchi criteri (quella sotto casa, quella di sempre, quella dell’amico direttore, ecc.) ma in virtù della sua solidità.
E dovranno farlo, da oggi in poi, ogni giorno: “La cosa migliore riguardo al futuro è che arriva solo un giorno alla volta” (A. Lincoln, 1809-1865, 16° Presidente degli Stati Uniti d’America)