
#nonnostaisereno
Siamo, indubbiamente, connessi.
La realtà è mutata nel breve volgere di alcuni anni e, come spesso avviene, il cambiamento è stato altrettanto rapido quanto in un certo senso inconsapevole; è avvenuto mentre eravamo occupati a fare altro.
La vita infatti scorre per ognuno di noi nel quotidiano, negli affari, negli impegni, nella routine, negli imprevisti, negli affetti (troppo poco, probabilmente, rispetto alla loro importanza), nei tg, nell’ultimora…
Nel frattempo, le innovazioni appaiono, ne sottovalutiamo l’importanza e la velocità di diffusione, le guardiamo con distacco e sufficienza, fino a che ci accorgiamo di averle progressivamente adottate al punto da non ricordarci più com’era ‘prima’.
Come si è evoluta la politica?
E per politica non intendo il ‘teatrino’ quotidiano, del quale mi disinteresso, ma quegli aspetti di comunicazione di leggi, decreti e di tutta quella produzione normativa che comporti, appunto, un cambiamento nelle nostre vite.
C’era una volta (e c’è ancora, per carità) la Gazzetta Ufficiale.
Poi negli anni i mezzi d’informazione (giornali, tv) hanno preso il sopravvento al punto da introdurre la ‘terza camera’ (Porta a Porta).
E non solo: le conferenze stampa e i comunicati, la pubblicazione sui siti internet e, ultimissima in ordine temporale, i tweet in diretta.
L’hastag #enricostaisereno è stato sostituito nel giro di poche settimane dall’altrettanto rassicurante #nonnostaisereno.
Conosciamo la sorte del primo e, per il secondo, se il buongiorno si vede dal mattino… ; )
Da professionista del settore non posso non occuparmene: il ‘nonno’ a cui ci si riferiva è l’italiano-tipo che sottoscrive titoli di stato ed appunto su questi dovremmo stare tranquilli.
Il messaggio è quindi rassicurante e la fonte autorevole: siamo in una botte di ferro?
#enricostaisereno, appunto.
Non sono qui, ovviamente, a contare le pulci.
La salute del bilancio dello stato, unica garanzia per il sottoscrittore di BOT, BTP e compagnia cantante, è riassumibile in pochi numeri.
Il deficit è al 3% del PIL, inferiore alla media UE pari al 3,5%: se fosse un campionato di calcio saremmo, quindi, nel lato sinistro della classifica (come direbbe il mitico Carletto Mazzone).
Addirittura il nostro virtuosismo si accentua se consideriamo il solo avanzo primario (entrate meno uscite, escluso il servizio del debito), con un 2,2% che ci rende vittoriosi (almeno in questo) della Champions League.
Un semplice calcolo di aritmetica indica che spendiamo in interessi il 5,2% di quanto produciamo all’anno: lo stato paga quindi mediamente il 3,9% di interessi sui propri debiti.
E’ tanto o poco?
Beh, in valore assoluto tanto (miliardi); in valore percentuale, per chi questo debito lo detiene, direi poco.
Vabbè, ma verso chi ce li ha questi debiti la nostra scalcinata repubblica?
La platea è ovviamente variegata ma, sostanzialmente, riconducibile ad una categoria onnicomprensiva: i possessori di titoli di stato, i quali detengono un’attività finanziaria classificata ad un certo livello di rischio (al momento, rating BBB+) a fronte di un rendimento modesto, che oscilla dallo zerovirgola a circa il 4%, a seconda delle scadenze.
Il rendimento attuale medio, infatti, è inferiore a quel 3,9% perché quello rappresenta il solo flusso cedolare, dal quale vanno sottratte le differenze fra i valori attuali di quei titoli e i valori di rimborso a scadenza. Il concetto, che riguarda milioni di risparmiatori, merita un approfondimento a parte.
Ma, si dirà, lo stato non ha mai fatto default (parliamone) e mai lo farà (riparliamone), indipendentemente dai rating.
Diciamo, per brevità, che sono d’accordo e nomino solo le CAC.
Al di là del nome più o meno gradevole, queste (quasi) sconosciute permettono agli Stati (europei) di ridurre il tasso o procrastinare la scadenza.
Ciò che in passato si sarebbe definito un vero e proprio default, è ora una semplice clausola collegata ai titoli emessi dal 2013 in poi.
In sostanza, il consiglio è sempre quello: #diversificazione, per ottenere più sicurezza e, magari, un po’ di rendimento in più.
Che, ragionandoci un attimo, se lo stato potesse all’improvviso non avere più debiti o almeno non pagare gli interessi, risparmierebbe quel 5,2% e potrebbe restituire ai cittadini, sotto varia forma, il 2,2% del PIL pur mantenendo il bilancio in pareggio.
Altro che #80euro al mese.
Sarebbe bello…ma ci vorrebbe un colpo di bacchetta magica.
Oppure un tweet: #nonnostaisereno.
; )