Oro giallo, oro nero, mattone d’oro…

Oro giallo, oro nero, mattone d’oro…

Dobloni, zecchini, talleri, fiorini: tutti, rigorosamente, d’oro.
Il simbolo più vero della ricchezza, il metallo prezioso per definizione. E’ inteso anche com investimento sicuro, che sale sempre, non perde mai di valore.
I dati degli ultimi 20 anni, ad esempio, sembrerebbero non dare torto a questa tradizionale convinzione: il prezzo (nominale, in dollari) all’oncia si è triplicato.
Certamente, il valore del denaro investito, almeno, è stato ben più che difeso.

Ciò che tale dato non rivela, però è l’ammontare delle oscillazioni che tale valore ha avuto nel corso del tempo e che spesso non è monitorato, persino da chi ne detiene importanti quantità.
Rispetto a tre anni fa, ad esempio, il valore è sceso di un terzo (-33%); nei primi dieci anni del periodo considerato, non c’era stata alcuna rivalutazione (quindi per quel decennio non c’è stata difesa del valore reale, al netto dell’inflazione) ed anzi, nel corso del periodo, c’erano stati momenti in cui il prezzo era sceso di oltre il 30%. Oscillazioni e trend in tutto e per tutto simili a quelli dell’investimento azionario, considerato al contrario estremamente rischioso da molti risparmiatori.
Chi di noi non ha mai pensato, allora, che l’investimento sicuro, quello che non tradisce mai, fossero i beneamati immobili?

L’esperienza vissuta direttamente o indirettamente, o quanto meno tramandata oralmente, ha sempre confermato la validità di tale assioma.
Certo, non sempre ci si è soffermati a capirne le ragioni, e se tali ragioni ne giustificassero la correttezza, a prescindere, nel tempo.
Inflazione, crescita demografica, domanda/offerta, fiscalità, crescita del reddito pro-capite (e un po’ di speculazione edilizia): questi sono stati i fattori che hanno inciso, positivamente per decenni, sul trend dei prezzi immobiliari.

Ed hanno generato la nostra convinzione.
I medesimi fattori stanno ora incidendo esattamente al contrario.
I dati degli ultimi anni sono un vero bollettino di guerra: compravendite dimezzate e prezzi in calo mediamente del 20%.

Ma il vero calo deve ancora cominciare, dicono gli esperti, perché la quantità di immobili invenduti (oltre mezzo milione solo gli immobili nuovi, oltre alla miriade di cartelli vendesi che rappresentano ormai una caratteristica dell’arredo urbano) è legata a valutazioni che hanno un senso solo nella logica di alcuni proprietari (e agenti): prima o poi troveranno, almeno in parte, collocazione sul mercato a prezzi ancora più bassi di quelli attuali.
C’è inoltre il patrimonio immobiliare pubblico che, per necessità di cassa dello Stato e dei suoi enti, genererà ulteriore offerta sul mercato e altrettanta pressione sui prezzi è generata dal progressivo degrado di zone importanti delle città, a seguito di fenomeni ormai diffusissimi, quali immigrazione e disagio sociale.

Ciò che sembra oggi creare appeal è almeno la riqualificazione energetica.

Si sa, il costo del petrolio, l’elettricità, il gas…
A proposito, Putin non vi è sembrato un po’ depresso in questi giorni: che sta succedendo?
Solo nell’ultimo trimestre il prezzo è crollato di oltre il 25%.
Il trend viene però da lontano: rispetto ai massimi segnati nell’ultimo quinquennio il prezzo è calato di oltre un terzo e dai massimi pre-crisi del 2008 siamo a quasi la metà.

Anche qui, per le previsioni, ci affidiamo alle parole degli esperti i quali ritengono che il bello debba ancora venire.
Ma preferiamo ragionare con la nostra testa almeno sui fattori che impattano su tali movimenti.
Le materie prime, disponibili in quantità limitata per definizione, sono soggette a scarsità.

Più domanda vuol dire prezzi più alti.
La crescita economica su scala globale, con maggiore necessità di energia, ha sempre inciso positivamente sull’andamento del prezzo del petrolio, visto che l’offerta era soggetta a razionamento: i paesi produttori (prevalentemente arabi), riuniti nella loro associazione (OPEC) stabilivano annualmente quanti barili potevano essere prodotti.
Maggiore domanda, appunto, prezzi in crescita, business per loro (e interesse geo-politico per il Medio-Oriente).
La tecnologia ha oggi rotto il legame: lo shale-oil (e lo shale-gas, altra materia prima per la quale possiamo riportare il medesimo ragionamento pari pari) ha reso economico lo sfruttamento di una serie di giacimenti che prima non erano disponibili e ha trasformato gli USA in un paese ricchissimo di una materia prima la cui necessità, in passato, lo costringeva persino a strategici interventi militari in giro per il mondo.
Oggi possono competere alla pari, in termini di quantità prodotte, con i veri giganti (Arabia Saudita, Russia) e addirittura poterne pianificare l’esportazione.
A ciò si aggiunge l’efficienza energetica che in molti settori (es. auto, processi industriali, edilizia, ecc.) è in costante miglioramento e l’utilizzo di fonti rinnovabili (si stima che negli USA entro i prossimi 30 anni il 50% dell’elettricità prodotta sarà di provenienza solare).

E’ per questo che la crescita economica in atto a livello globale (ormai nelle statistiche manca solo l’Italia) sta avvenendo in presenza di bassa, bassissima, inflazione.
Proprio l’inflazione, generata dal prezzo del petrolio, che a sua volta provocava in passato rialzi su oro e immobili.
E’ completo adesso il quadro?

 😆

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