Più o meno?

Più o meno?

Non se ne può più…
Sono sull’orlo di una crisi di nervi.
Ribassi, rialzi, poi nuovi ribassi e così via.
Azioni, valute e poi il temutissimo spread.
Mi spavento già solo al sentirlo nominare!
Ma non è bello sapere di poter contare su un bel tasso fisso, non più di un anno di durata, con la certezza di non perdere?
Lo struzzo è servito (nel mettere, metaforicamente ed in molti casi giustamente, la testa sotto la sabbia come forma di protezione)…
Certamente non mi riferisco agli scenari euro/non-euro, molto più attuali oggi di quando l’informazione estiva terrorizzava i bagnanti peggio dello Squalo di Spielberg.
Ma parlo di crisi, di mercato, e di ciò che negli ultimi anni hanno generato la nostra attuale, terribile, crisi economica.

‘Tutta colpa di Lehman Brothers’: quante volta abbiamo sentito additare la celebre banca d’affari americana e, tramite essa, l’intero sistema finanziario mondiale in qualità di responsabile della nostra, quotidiana, crisi?

Proviamo a ragionare, ora, su qualche elemento di fatto.

Lehman era americana, con operatività mondiale.
Per questo la crisi, partita americana, è arrivata in tutto il mondo e di riflesso in Italia.
Quindi, secondo logica, gli effetti dovrebbero esserci in tutto il mondo (maggiormente negli USA).
E per per un certo tempo è stato così, ma poi?
Soffermiamoci un attimo sui dati finanziari: gli indici di borsa salgono e scendono, in un quotidiano andirivieni che appare, ai più, senza senso.
Sale Wall Street e salgono anche gli altri mercati, e viceversa.
Seguiamo l’andamento degli ultimi cinque anni: il calo post-Lehman è durato, per tutti, fino alla primavera 2009.
Poi un forte recupero, intervallato da cali, fasi di maggiore tranquillità ed ulteriori nervosismi con conseguenti cali.

Risultato finale: nell’ultimo quinquennio la borsa americana è cresciuta di quasi il 20% (+100% per chi ha investito all’apice della crisi) segnando in questi giorni nuovi massimi storici.
Nello stesso periodo la borsa italiana, pur con un alternarsi quotidiano di rialzi e ribassi abbastanza simile a quello degli altri mercati, è -50%.
È chiaro adesso cosa intendo quando parlo di diversificazione?

La solita speculazione, si dirà…
E l’economia reale, invece?
Meglio non fare confronti, impietosi.
Il PIL italiano è fermo a livelli di decenni fa.
Quello Usa è cresciuto di molto, ben al di sopra dei livelli pre-Lehman.
Cosa ha generato tali macroscopiche differenze: prevalentemente la diversa politica monetaria.
Ma le differenze non si fermano agli Usa.
Rispetto alla Germania, che ha ovviamente adottato la nostra stessa politica monetaria, il confronto va fatto, oltre che sul PIL, anche sull’andamento del costo del lavoro: in Germania è cresciuto del 10% dall’introduzione dell’euro ad oggi, mentre quello italiano è cresciuto nello stesso periodo del 35%.
E ci meravigliamo che le nostre aziende non siano competitive?
Cos’ha inciso su questi dati?
Il fisco (colpa dello Stato e dei politici, ovvio) ma anche la produttività di noi italiani che è anch’essa ferma ai livelli pre-euro (con una valuta debole poteva bastare), mentre quella tedesca è cresciuta del 14%.
Chiaro perché l’euro forte è conforme all’interesse nazionale della Germania?
È questo lo spirito di amicizia fra i popoli che ha ispirato la nascita della comunità europea, dopo la seconda guerra mondiale?
Come uscire da questa situazione?
Ecco alcune possibili (volutamente provocatorie) soluzioni:
1) ridurre gli stipendi, non (solo) dei parlamentari ma di tutti i dipendenti riducendo così il costo del lavoro
2) smetterla con il rigore fiscale, detassando il lavoro, riducendo quindi il cosiddetto ‘cuneo fiscale’ cioè la differenza tra quanto costa un dipendente al suo datore di lavoro e quanto il dipendente medesimo si mette realmente i tasca (la differenza sono tasse e contributi)
3) tornare ad una valuta debole (euro o non euro?)
4) rimboccarci realmente le maniche per lavorare con ancora più impegno, passione, amore per la nostra nazione smettendola di pensare (sempre più spesso, purtroppo) che le cause della crisi sono fuori da noi e che, quindi, inevitabilmente le soluzioni alla crisi arriveranno fuori da noi.

Quest’ultima è persino più complessa da realizzare perché necessita di un profondo cambiamento culturale come popolo, partendo a livello individuale.
E, forse per questo, la mia preferita.

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