
Pronti, ripartenza, ….via?
Dopo quasi due mesi di lockdown, siamo in trepidante attesa: è arrivato il momento del countdown.
Quanto manca a riacquisire le nostre più elementari libertà personali?
Quando potremo rivedere parenti ed amici o, semplicemente, goderci il nostro meraviglioso mare?
Allo scadere del conto alla rovescia più delicato, che porterà alla riapertura di tantissime imprese, c’è un rischio che è quasi una certezza: le casse delle aziende, con il fatturato improvvisamente azzerato, languiranno inesorabilmente.
Se l’impatto del coronavirus sul sistema sanitario e sul nostro stile di vita è stravolgente, gli effetti sull’economia dei provvedimenti adottati per affrontarlo non sono certamente meno drammatici.
Qual è, in questo scenario, il ruolo delle banche?
“Nessuno perderà il lavoro a causa del coronavirus”, è stato dichiarato all’inizio della storia.
Ed è per questo che il primo pensiero del governo è stato consentire alle aziende l’accesso ad una cassa integrazione straordinaria per i dipendenti diventati, all’improvviso, un fardello insostenibile.
Ok, chi paga?
L’INPS, ovviamente, con i suoi tempi….
Un intervento delle banche, di grande valenza sociale in accordo con sindacati ed associazioni datoriali, permette però di superare le consuete lentezze della burocrazia, anticipando ad ogni dipendente in cassa integrazione che ne faccia richiesta, 1.400 euro a costo zero.
La banca recupera poi le somme in automatico dall’INPS, quando finalmente arriveranno i pagamenti.
E per le imprese?
“Una potenza di fuoco mai vista”.
Senza critica e senza enfasi, ancora si è visto ben poco e speriamo che qualcosa si veda…
La liquidità, infatti, non arriverà dal governo ma dalle banche.
Lo Stato fornisce solo, potenziandoli, strumenti già esistenti per favorire l’accesso al credito.
Il Fondo Nazionale di Garanzia delle PMI ha esteso la propria competenza anche a microimprese, ditte individuali e professionisti, garantendo crediti fino al 25% del fatturato e, per importi fino a 25.000 euro, l’erogazione è abbastanza veloce: si fa richiesta attraverso un modulo già predisposto e presentando alcuni documenti, la banca fa una verifica semplificata dei requisiti e, in due/tre giorni si riceve l’accredito.
Il Fondo garantisce la banca al 100%, l’interesse è mediamente inferiore al 2%, il prestito può durare fino a sei anni e si può rimborsare a partire dal terzo, pagando nei primi due anche solo interessi in modo da alleggerire il peso finanziario durante questa, speriamo imminente, ripartenza.
Per cifre maggiori, la garanzia del fondo è concessa fino al 90% (può salire al 100% per importi fino a 800.000 euro, grazie ai consorzi fidi) e quindi la valutazione della pratica richiede, come sempre accade, tempistiche più lunghe anche di diverse settimane e le condizioni possono essere più onerose, anche se meno di una operazione non garantita.
Per le aziende più grandi (ad es. con almeno 500 dipendenti), è stato previsto l’intervento da parte di SACE, che finora garantiva solo operazioni con l’estero, ora estende la sua competenza a tutte le operazioni di grande dimensione.
Qui i tempi sono, potenzialmente, ancora più lunghi (le banche stanno sottoscrivendo specifici accordi con SACE) e le garanzie concesse non sono gratuite.
In sintesi, questa “potenza di fuoco” basterà?
Perplessità e dubbi non mancano, a partire dal dimensionamento delle garanzie concesse, numericamente insufficienti (e di molto) a raggiungere i 400 miliardi di liquidità annunciati.
Anche la percentuale del 25% sul fatturato uguale per tutti è discutibile: ci sono aziende che hanno subito pochissimi contraccolpi (ad es. alimentari) e quelle che sono chiuse e vivranno ancora periodi drammatici, anche dopo la ripartenza (ad es. ristorazione) per le quali la misura potrebbe essere insufficiente.
Molte polemiche ha suscitato l’ipotesi che le banche usino queste misure semplicemente per ‘garantire’ i crediti pregressi nei confronti delle aziende, assorbendole senza aggiungere liquidità al sistema imprese.
Ciò è parzialmente vero, senza dubbio, ma la misura ha comunque un senso non indifferente: produce vantaggi a favore di quelle imprese che, pur non avendo grande bisogno di ulteriori liquidità per fare nuovi investimenti, abbiano semplicemente bisogno di alleggerire il peso finanziario di impegni assunti in precedenza per investimenti già fatti ma che, a causa della situazione creatasi, avranno bisogno di molto più tempo per produrre frutti; e serve, è vero, anche alle banche per alleggerire il peso di posizioni che, nate bene, potrebbero andar male a causa di questa crisi imprevista non imputabile a loro errori di valutazione.
Inoltre, trasformarle in posizioni garantite ridurrà il cosiddetto assorbimento di capitale cioè, in buona sostanza, consentirà indirettamente di prestare di più.
Non dimentichiamo, infine, che le banche prestano denaro non loro, ma dei risparmiatori depositanti…. e ciò merita certamente tutela.
Le tempistiche, infine: la ripartenza è alle porte ma, a parte le operazioni di piccolo importo, è improbabile che le erogazioni arrivino in tempo.
Naturalmente, è difficile ipotizzare che il rimedio alla enorme perdita di fatturato che le aziende stanno vivendo e vivranno ancora per mesi, se tutto va bene, sia fare debiti. Servono misure che realmente consentano di compensare, almeno in parte, perdite che minano alle fondamenta la sopravvivenza di molte imprese e dell’intera economia di regioni e interi settori: pensiamo al nostro vero petrolio, il turismo.
Alcune idee, non esaustive: contributi a fondo perduto e sostanziosi crediti d’imposta su nuovi investimenti, riduzione del cuneo fiscale a carico delle aziende subordinato al mantenimento dei livelli occupazionali, consistenti sgravi su nuove assunzioni, rimborsi fiscali e pagamenti della PA più veloci, snellimento della burocrazia, ecc.
La fantasia in tal senso non conosce limiti… ma le capacità del bilancio pubblico si, eccome.
La situazione è, però, eccezionale ed è impensabile affrontarla con strumenti ordinari, seppur potenziati.
Purtroppo, il nostro stato sprecone non ha fieno in cascina e dovrà finanziare tutto in deficit, molto, oltre 150 miliardi… e potrebbero non bastare.
La speranza?
Destinarli in modo efficiente e produttivo, per rilanciare la nostra Italia una volta per tutte, trasformando in vera crescita il nostro potenziale, e non sperperarli in mancette e sussidi che non risolvono i problemi ma, purtroppo, generano in egual misura debiti e consensi.