Sindrome cinese

Sindrome cinese

Dopo la Grecia…
Chi ricorda la grande impressione destata, durante l’era del costante pericolo nucleare, da questo straordinario film d’inchiesta nel quale ai figli d’arte Jane Fonda e Michael Douglas (agli esordi) si affiancò uno straordinario Jack Lemmon, vincitore per la sua interpretazione del festival di Cannes e del David di Donatello, oltre a ricevere la nomination per l’Oscar ed il Golden Globe?
Era la solita denuncia del capitalismo senza scrupoli, con l’avidità di pochi a danno di molti, con il ruolo complice e collaborazionista dei mezzi di informazione nel montare o smontare, più o meno ad arte, casi veri o presunti.

Tutto ‘sto ragionamento, direte, per punzecchiare i media colpevoli, ancora una volta in questi giorni, del solito caso finanziario montato a suon di centinaia di miliardi ‘fintamente’ bruciati?
Stavolta evito…è un tema troppo evidente ed inflazionato per dedicargli tempo.

Uno dei motivi dello straordinario successo, all’epoca, di questo film fu la profetica coincidenza nell’anticipare un reale incidente nucleare, il più grave della storia americana, che si verificò in una centrale della Pennsylvania poche settimane dopo l’uscita del film!
Anche noi, nel nostro piccolo, qualche settimana fa, mentre tutti focalizzavano la loro attenzione sulla tempesta greca (nel bicchier…d’ouzo), suggerivamo di “seguire con maggiore interesse macro-economico e a livello di interazione fra i vari mercati, ciò che sta accadendo nel mondo prima obbligazionario e poi azionario emergente (es. la Cina, ma non solo)”.

La portata della ‘crisi’ (congiunturale o strutturale?) della seconda economia al mondo è in grado di lasciare certamente tracce più significative rispetto alla vicenda greca, potenzialmente ‘digeribili’ in meno tempo dai mercati; ed a ciò va aggiunto l’ennesimo crollo del petrolio (povera Russia e, se il calo continua, anche povera Arabia Saudita….mai mettersi contro gli USA, manco per scherzo, che ci si può far male).
Siamo, inoltre, all’ennesimo atteso momento in cui la FED si pronuncerà per l’aumento dei tassi.
Nel frattempo, anche il Brasile arranca (dell’India, per completare la parabola dei BRIC, parleremo in una prossima occasione)….e tutti i mercati erano sui massimi.

La bolla è servita, già scoppiata, secondo qualcuno: neanche il tempo di godercela, dopo un decennio di mercato con più bassi che alti.
Se non fosse che siamo ad agosto e, in molti, sui mercati finanziari e non, sono focalizzati sul soli, il mare e sul numero di spritz da consumare prima di sera.
La situazione è perfetta per un’imboscata: la finanza, è un’industria (lo ricordo da sempre, a me stesso e agli altri) il cui principale prodotto sono le commissioni…e la volatilità è un semi-lavorato del processo produttivo, che ne genera tante in più.
; )

E diventa occasione per generare un accelerato passaggio di ricchezza tra chi compra e chi vende, sfruttando le basilari regole della psicologia: i miliardi inceneriti da chi si lascia trascinare dalle emozioni, si rimaterializzano magicamente nelle tasche di qualcun altro che invece sa come funziona.

Chi non osserva placidamente soddisfatto il proprio portafoglio quando è gonfio e tronfio di valori positivi, sereno e fiducioso che i rialzi proseguano?
E chi, altrettanto, sotto i colpi dei ribassi, non si chiede se sta facendo bene a restare investito, piuttosto che, invece, non farebbe bene a vendere tutto ed uscire dal mercato prima che accada l’irreparabile?
La borsa di Shangai scende, quella di Tokyo pure; le borse europee crollano di conseguenza: scende Londra, Milano crolla e pure Parigi…pure Parigi? Allora, se pure Parigi crolla…. è veramente grave. Se ci si mette pure Wall Street? Siamo nel baratro: vendiamo tutto!!!

Anche in questo caso, il film di cui trattasi prevedeva una certa (potenzialmente devastante) evoluzione degli eventi che fortunatamente, non si verificò durante il successivo incidente avvenuto nella realtà.
Avverrà così anche in riferimento alle conseguenze della ‘sindrome cinese’ (finanziaria) che stiamo vivendo in questi giorni?
Consapevoli dei limiti oggettivi nel prevedere il futuro, validi per tutti gli onesti intellettualmente, lo siamo anche della differenza altrettanto oggettiva nell’affrontare la medesima situazione di mercato  con un portafoglio opportunamente diversificato e con l’asset allocation adatta alla propria individuale tolleranza alla volatilità, anziché no.

In sostanza, se i mercati scendono del 10%, cosa accade al mio portafoglio?
E, a seconda delle mie aspettative e necessità temporali, in che misura subisco negativamente tali oscillazioni o posso addirittura trarne un vantaggio in termini di potenziale rendimento?
Questi sono i temi di confronto con i propri referenti finanziari oggi e per il futuro, ma soprattutto un’area di crescita anche culturale per noi italiani, in gran parte orfani del grande rendimento senza rischio (garantito per decenni da alti tassi dei titoli di stato e liquidità remunerata), catapultati oggi in una realtà che proietta, per tali strumenti, potenziali rischi senza un rendimento significativo.

Come ormai sapete sarà, anche per il futuro, questa la nostra chiave di analisi degli avvenimenti, per essere sempre dalla parte dei risparmiatori.

3 Comments

  • roberto panisco
    27 Agosto 2015

    Buongiorno Angelo,
    mi perdonerai se anch’io, che non sono analista finanziario, né economista, oso un commento su questa vicenda. Ti prego – anzi – di correggermi se dico delle inesattezze.
    A mio avviso, il rallentamento dell’Economia cinese, di cui è termometro il crollo delle borse, non può essere spiegato isolandolo dalle politiche economiche sperimentate da Giappone, USA e UE, che sono economie interrelate con quella Cinese. Non possono, cioè, essere compresi né il momento negativo dell’economia cinese né le aspettative deteriori sul suo futuro andamento, se presi indipendentemente dagli effetti delle politiche economiche e monetarie esercitate dai Governi occidentali e dal Giappone. Se quest’ultimo, Usa e UE sperimentano, tutti assieme e contemporaneamente, misure drasticamente svalutative nei confronti delle rispettive monete, nell’aspettativa di aumentare le esportazioni e ridurre le importazioni, in modo da integrare la domanda aggregata a livelli compatibili con PIL e occupazione più elevati, mi sembra abbastanza attendibile che si faccia un gioco a somma zero: tutti svalutano, nel tentativo di esportare di più (e di importare meno) e così, nel lungo periodo, gli effetti delle contemporanee svalutazioni si annullano a vicenda. Alla fine, neppure la Cina si è potuta sottrarre a questa corsa alla svalutazione: anche Pechino ha dovuto svalutare la propria moneta (forse lo farà ancora) perché sta iniziando a temere di pagare, con lo yuan forte in comparazione ad altre divise, un peggioramento del valore delle proprie variabili sistemiche, del saldo della propria bilancia commerciale, in particolare. Usa, UE e Giappone ambiscono tutti ad aumentare le proprie esportazioni verso la Cina, intendendone il mercato interno forte di una capacità di assorbimento pressoché infinita. Ma, evidentemente, non è così. A complicare le cose, a determinare cioè fenomeni inflattivi e bolle finanziarie, c’è il simultaneo esercizio, da parte dei Paesi già citati, di politiche monetarie esasperatamente espansive (anch’esse mirate a stimolare lo sviluppo delle economie domestiche). La c.d. “nuova era monetaria del Giappone” è la massima ostentazione di questa ostinata ambizione. Oggi ho letto su Huffington Post che c’è un gruppo di soloni economisti americani che invocano, addirittura, un nuovo QE per l’economia americana.
    La corsa, contemporanea e drastica, verso la svalutazione delle divise nazionali, così come l’immissione continua e enorme di liquidità nei mercati, allo scopo di stimolare la spesa privata e forzare, in tal modo, la crescita del Pil e dell’occupazione, sono misure già sperimentate varie volte nella Storia ed hanno spesso preceduto dei conflitti, anche sanguinosi, tra le Nazioni coinvolte.
    A mio modesto parere, le autorità politiche dovrebbero – ad un certo punto – attenuare la propria attuale fiducia verso le possibilità della politica monetaria (specie se indirizzata su misure fortemente espansive che, come insegnano i manuali di economia, hanno effetti scarsi sull’economia reale ed originano, piuttosto, fenomeni inflattivi dei crediti e dei valori di borsa). Bisogna che recuperino – invece – centralità le azioni dei governi, che dovrebbero concentrarsi sulle politiche fiscali. Bisogna purificare i bilanci statali da impieghi improduttivi e lasciare le risorse risparmiate alle famiglie e alle imprese, per consumi e investimenti. Sospetto che le risorse necessarie per stimolarne la crescita non abbiano bisogno di essere generate artificialmente, attraverso la creazione di moneta o mediante il deficit spending. Esse già esistono, ma sono intrappolate in impieghi infecondi, che si confondono spesso con spese clientelari e parassitarie.

  • zio Mike
    8 Settembre 2015

    Bello l’articolo e il commento.

    Chi ci salverà’
    L’ETICA E L’ESTETICA.

    Un abbraccio.

    Mike

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